domenica 25 gennaio 2009

Memoria

Una storia quasi dell'infanzia.

Uscivamo dalla classe, seconda, forse terza media. Il bulletto di turno continuava a girarmi intorno, a tirare buffetti e ridere come un idiota a mio scapito. Non pretendo che capiate, ma quella volta non ci vidi più. Lo inseguii sulle scale, poi fuori all'uscita lo afferrai dallo zaino e da dietro, con lui che ancora cercava di scappare via, gli mollai un sano ceffone come Dio comanda. Cinque dita bianche su mezza faccia rossissima e tutta la scuola con gli occhi sgranati.
Per i giorni successivi non si parlò d'altro: un secchioncello sfigato, anzi dovrei dire IL, visto com'ero, aveva schiaffeggiato uno dei ragazzi fighi, che scena, che umiliazione, che scandalo. Ovvio che tale uomo mi si presentò qualche giorno dopo e mi disse che dovevamo chiarire la faccenda, vederci in un certo luogo nel pomeriggio, alle quattro o giù di lì.
E sì, con un finale abbastanza scontato abbiamo fatto a botte in terreno neutrale. Più o meno. Perché l'unica immagine che mi è rimasta nitida dello scontro è di me che cerco di assestare un dritto sul naso, senza tante storie, ma vedo un flash della sua faccia viola sporca di sangue e cerco di frenare disperatamente il braccio che è già abbondantemente vicino al suo viso, lo devio per quanto posso e finisco per affondargli il pollice sotto lo zigomo.

Non ero io. Non sono io.
E, ditemi voi, perché mai dovrei esserlo?

1 commento:

  1. "Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo." Zio Eraclito, frammento 49a

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